Angelo Carannante, la sua stella flegrea è una cometa da seguire con orgoglio

Angelo Carannante, chef stellato del Caracol

Che poi alla fine, cos'è una Stella Michelin? E' un segno distintivo della migliore arte culinaria universalmente riconosciuto, è un sogno, un obiettivo, una tappa fondamentale di un percorso che porta all'eccellenza.
Quella che brilla da circa un mese sul nostro golfo, quella ricamata sulla giacca candida di Angelo Carannante, è una stella tutta flegrea, un riconoscimento alla nostra terra,  alle sue peculiarità, alle sue immense prospettive. 
Una stella speciale, una cometa da seguire, alimentata dal coraggio e la lungimiranza di un gruppo imprenditoriale ben radicato sul territorio, quello della famiglia Laringe, e costruita attorno al talento e l'ambizione di un giovane chef cresciuto a Quarto, formato tra il mercato del pesce di Pozzuoli e l'Istituto Alberghiero di Monterusciello, svezzato in giro per l'Italia e realizzato a pochi passi da casa, sotto il faro di Miseno. Ed è la sua storia che noi di #Zolfood abbiamo deciso di raccontare.

 

Una storia che mette le sue radici nelle nostre tradizioni più vere. Papà Renato è un pescatore di "rind'a'torr", rione puteolano di vocazione marinaresca, i suoi fratelli hanno un banco al mercato. Angelo cresce a Quarto, dove la famiglia Carannante si è da poco trasferita, ma il mare e i suoi prodotti rappresentano da subito un elemento fondante della sua esperienza.

Il mare c'è, e c'è sempre stato. Avere un papà pescatore ti aiuta a conoscerlo, amarlo, temerlo, rispettarlo. Avere un papà pescatore ti insegna a conoscerne i frutti. Mio padre amava quella che popolarmente era riconosciuta come mazzamma, pesci  come 'sbaragliun, ruonc, fiche e suace' che si faceva fatica a vendere e si portavano a casa. Continua a prenderli tutt'oggi quando li trova. Io guardavo, mangiavo, imparavo. la domenica la passeggiata al mercato era poi un rito immancabile, così come il pranzo dalla nonna. Mi ci facevo accompagnare in anticipo, amavo vederla ai fornelli mentre preparava la sua zuppa di cicinielli.

Esperienza, conoscenza, imprinting. Anche se l'Angelo bambino a fare il cuoco non ci pensava ancora...

No, non credo. Anche se dopo aver ricevuto la stella Michelin tanti amici e parenti mi hanno ribadito che questa passione la mostravo anche da piccolo. Una cosa è certa, quando a 13 anni ho scelto l'Istituto Alberghiero di Monterusciello avevo già deciso: volevo fare il cuoco. Mio padre qualche tempo prima aveva iniziato a lavorare nel weekend come cameriere in un ristorante di Roccaraso e io spesso lo accompagnavo. Passavo ore in quella cucina, provavo anche a dare una mano, avevo capito che era quello che volevo fare e quindi per me scegliere quella scuola fu automatico, non ebbi esitazioni.

Il resto è un percorso formativo vissuto con voglia e determinazione, senza fermarsi mai.

Vero, mai. Andavo a scuola e quando possibile mi ritagliavo del tempo per dei lavoretti in giro. Banchetti, ristoranti, stage, andavo ovunque, guadagnavo qualche soldino e imparavo tanto, a volte senza neanche rendermene conto. Solo in un secondo momento mi sono reso conto di quanto mi abbiano aiutato anche le esperienze più difficili di quel periodo, quelle che mi hanno fatto capire che io questo lavoro volevo farlo sul serio, al netto di qualsiasi sacrificio. Sembrerà assurdo, ma se oggi racconto la mia stella Michelin è anche perché 20 anni fa mi hanno messo a pulire calamari per 5 ore sotto l'acqua gelata. E il giorno dopo ero di nuovo lì, a disposizione della brigata. Non ho mai mollato.

Quella era passione, folle e spregiudicata. Angelo voleva solo cucinare. Come volesse farlo, in che modo e a che livello, lo ha capito probabilmente a 16 anni.

La scuola mi mandò a fare uno stage al Parker di Corso Vittorio Emanuele, nel ristorante di un Hotel 5 stelle lusso. Mi si aprì un mondo nuovo, e con esso nuovi obiettivi. Dopo il diploma ho fatto il militare, mi avevano già messo un fucile in mano e indirizzato al VAM, il corpo di Vigilanza dell'Aeronautica Militare, ribadii al mio superiore che io ero un cuoco, e fui smistato in cucina, a Pratica di mare. Ve l'ho detto, da quando ho deciso che avrei fatto il cuoco non mi sono fermato più, neanche sotto le armi. Congedato, ho cercato una soluzione che potesse in qualche modo tenermi sui livelli del Parker e finii all'Holiday Inn con Ciro Salatiello, oggi affermatissimo chef dell'Excelsior. Sono stato con lui per 2 anni, ho imparato tantissimo anche se la lezione più importante lo chef me l'ha data quando sono andato da lui per un rinnovo di contratto che pensavo fosse scontato. E invece lui mi disse: "Due anni sono abbastanza, ora devi girare, lavorare in posti nuovi, crescere ancora". Pensavo di essere arrivato, e invece da lì sono ripartito.

Da Roma, dalla capitale:

Esatto, dal ristorante del Radisson Blu Es Hotel e da Antonello Colonna, stella Michelin che al tempo era considerato l'8° Re di Roma. Per la prima volta lontano dalla famiglia e dagli affetti, cercavo di far fruttare al massimo tutto il mio tempo, anche lì non mi fermavo mai, neanche nel giorno di riposo. "Posso fare? Posso venire? Posso lavorare? Posso imparare?". Un mantra ripetuto all'infinito. Anche quando poi sono tornato in Campania e ho iniziato a collaborare con Giuseppe Daddio e la Scuola Dolce&Salato. La cucina è conoscenza, è ricerca, nessuno in questo mondo può pensare di sapere già tutto. Bisogna studiare, sempre, aggiornarsi.

Roma, Aversa, e di nuovo Napoli, il D-Wine, il Crudo Re, il Veritas ...

Sì, esperienze diverse tra loro che mi hanno dato tanto e probabilmente hanno completato il mio primo ciclo di vera formazione. Volevo dare una svolta, e l'ho trovata a Sorbo Serpico, ai Feudi di S.Gregorio, entrando nella brigata di Paolo Barrale e diventando poi il suo Sous Chef. Al Marennà ho vissuto due anni bellissimi e determinanti per indirizzare ulteriormente il mio percorso professionale".

 Nel 2013 il passaggio a Sorrento, al Terrazza Bousquet, il ristorante del Grand Hotel Excelsior Vittoria diretto dal Luigi Tramontano. 

 Altra esperienza incredibile, vissuta fianco a fianco ad uno chef giovane e preparatissimo, con una brigata di 30 cuochi ed una location d'eccellenza. Ci sono rimasto per 3 anni, ero lì quando è arrivata la prima, meritatissima, stella Michelin, e anche da quella avventura ho imparato davvero tantissimo. Luigi Tramontano, con Giuseppe Daddio e Paolo Barrale chiude un trio di professionisti che continuo a mantenere tra i miei punti di riferimento. La bellezza dei suoi piatti, la ricerca spasmodica dell'impiattamento perfetto rappresentano per me un obiettivo e una fonte di ispirazione, come la capacità imprenditoriale e gestionale di Giuseppe, e l'incredibile conoscenza di Paolo, un enciclopedia in continuo aggiornamento. 

 Barrale che è poi stato decisivo per il tuo approdo al Caracol...

 Sì, è stato lui a fare il mio nome a Roberto Laringe e Alfredo Gisonno, che gli avevano chiesto consiglio per intraprendere questa nuova avventura. E' grazie a Paolo che mi sono ritrovato davanti a questo progetto con le mie paure e le mie ambizioni. Posso dirlo tranquillamente, la mia gavetta l'ho fatta, non ho mai pensato di non esserne all'altezza, neanche per un momento. Ho sempre creduto nelle mie capacità e mi esaltava l'idea di avere davanti a me un foglio bianco da riempire. Quello che mi terrorizzava all'inizio era che questo nuovo concetto di cucina, che nei Campi Flegrei avrebbe trovato un territorio vergine, non fosse capito. Che potesse fallire nell'approccio, determinante, con la gente, con la clientela.

 E invece, a poco più di due anni dall'apertura, è arrivata la stella a coronare una stagione estiva con tanti, tantissimi sold-out. Hai ancora paura?

 Meno, o meglio il giusto. La stella non è solo un traguardo, è anche una responsabilità. Sappiamo che d'ora in poi i nostri clienti saranno ancora più esigenti, che saremo giudicati con maggiore severità, e dunque la paura di deludere certe aspettative può diventare uno stimolo importante a non mollare, a non adagiarsi mai sugli allori. Sarebbe un suicidio.

La guida Michelin ha definito la tua cucina "di stampo moderno, con piatti di tradizione regionale". Ti riconosci?

Sì, senz'altro. E mi lusinga. Sono nato, cresciuto e ho la fortuna di lavorare in una terra incredibile,ricca di prodotti eccezionali e con una tradizione enogastronomica di altissimo livello: provare ad esaltare certi sapori, a rivisitare le ricette che fanno parte della nostra identità culturale, per me è una enorme responsabilità che, sia chiaro, mi prendo volentieri. E infatti il piatto icona di questi due primi anni di Caracol sono le candele spezzate alla genovese con crudo di tonno, limone, polvere di cacao e fondo d'arrosto. Dentro c'è un pò tutto il nostro progetto

Il Caracol riapre a marzo, c'è tempo per preparare il nuovo menù e per affrontare nuove sfide, anche più estreme. E chissà che non si possa tirar fuori la tua "ricetta del cassetto".

Siamo pronti e carichi come non mai. La cucina è il mio elemento, faccio fatica a starne lontano e infatti a casa in questo periodo ai fornelli ci sono solo io. Nuove sfide? Sempre, mi hanno sempre stimolato, figuriamoci ora. La ricetta nel cassetto in realtà è nella mia agendina da anni e più che una ricetta è un'immagine, un'idea su cui lavorare. Voglio proporre il più classico dei carrelli dei bolliti, con tanto di salsine e tutto il resto. Però sarà di mare.

Il finale è come sempre per i consigli, diretti a chiunque voglia provare a seguire le tue orme, a fare questo lavoro.

Faccio una premessa, in questi anni al Caracol abbiamo fatto fatica a trattenere gli stagisti, qualcuno è scappato dopo una settimana dicendomi che non si aspettava di dover lavorare così tanto, che a scuola non glielo avevano spiegato. Quello che dico a loro e che ripeto ora è che questo bellissimo lavoro è duro e richiede dei sacrifici enormi, e per farlo bisogna nutrire un'autentica passione per la cucina. Non perdete tempo, misuratevi con la realtà lavorativa, qualsiasi essa sia, e cercate di capire se la vostra ambizione è più forte di tutte le rinunce che dovrete fare, di tutte le vacanze a cui dovrete rinunciare, di tutte le volte in cui dovrete brindare lontano dalla vostra famiglia. La televisione negli ultimi anni ci ha mostrato solo una parte del film, le chef-star, i talent, ma quello è il gran finale, quello che la tv non vi mostra è ciò che viene prima, la famosa gavetta. In ogni caso, se è questo che volete fare, muovetevi, girate, imparate, accumulate tutta l'esperienza possibile. Ci vediamo in cucina.