ZolPeople - Ciak, si gira...il mondo: dagli Champs Elysèes ad Hollywood, Chef Alfredo da Oscar

 

Come in un film, magari anche due. Alfredo Colle ha fatto giro del mondo partendo da via Solfatara, ha cucinato sugli Champs Elysèes parigini e per le star di Hollywood, passando per Fabriano, le spiagge del Belize e la ricca Singapore. Come in un film dicevamo, magari anche due. E con un regista d’eccezione, Francis Ford Coppola, l’uomo che lo portò negli States nel 2000 cambiandogli la vita.

Una grande storia che noi di Zolfood abbiamo deciso di raccontarvi, riavvolgendo il nastro e ricominciando dall’inizio, o quasi.

“Da Pozzuoli allora, casa mia. E dalla mia grande passione per la cucina. Che ho provato a coltivare all’Istituto Alberghiero, ma lì sono durato poco, un paio d’anni. Poi ho iniziato a lavorare: Rino, il compagno di mia madre, aveva un ristorantino a due passi dalla Solfatara (il Charleston) e mi dava fiducia, posso dire che ha sempre creduto nelle mie capacità ai fornelli. Contemporaneamente ho iniziato a lavorare in Pizzeria, al Giardino, con Davide De Fraia. Sono stato messo nelle condizioni di imparare da uno dei migliori, ho fatto le mie esperienze e ad un certo punto, dopo qualche anno, ho colto al volo un occasione. Tramite mio padre Clemente (lo storico massaggiatore del Puteoli Basket, ndr) ho avuto un’occasione a Fabriano. Lavoravo al Convivio presso il Centro Ippico”. 

Ultima tappa italiana, da lì la Francia, Parigi.

“Sì, al Ristorante Napoletano della famiglia Esposito. Puteolani come me. Una splendida esperienza, in un contesto familiare ma al contempo estremamente professionale. A due passi dagli Champs Elysèes, chiunque volesse mangiare piatti della tradizione napoletana, pizza compresa, passava di lì. Anche tanti personaggi noti del mondo dello sport e dello spettacolo”

Tra questi Francis Ford Coppola, uno dei pilastri della nuova Hollywood, patriarca del cinema americano, regista pluripremiato (7 Oscar) per film del calibro de “Il Padrino”. 

“Lui. Era lì a mangiare, al suo tavolo. Ad un certo punto me lo vedo arrivare al bancone, vicino al forno delle pizze. Mi chiede se sono napoletano, quindi se sarei stato disposto a passare 15 giorni in America da lui. Stava per aprire un locale a San Francisco , voleva che formassi il suo personale di Pizzeria. Restai a bocca aperta. Cominciò tutto così, iniziai con quei 15 giorni, poi nel gennaio del 2000, tornai negli USA per restarci. E grazie a Coppola feci il mio ingresso dalla porta principale. Sono stato il suo Personal Chef e allo stesso tempo il suo consulente, ho cucinato per lui e la sua famiglia, per i suoi amici. E l’ho aiutato ad aprire i suoi resort in Belize. Per la prima volta mi sono sentito uno Chef, ho vissuto delle esperienze incredibili: ho cucinato a Disneyland Los Angeles per 150 ospiti, ho festeggiato con i Coppola l’Oscar vinto da Sofia con Lost in Translation. Un film vero in cui il protagonista ero io”. 

Negli Usa dalla porta principale dunque, ma poi Alfredo ha ripreso a camminare sulle sue gambe.

Phoenix, il New Jersey, e poi Chicago, dove ho contribuito all’apertura di nuove Pizzerie e ho diretto la cucina di Nella. Devo molto a Scott Harris, anche a Chicago ho vissuto momenti incredibili, di grande popolarità anche. Sono stato in televisione, godevo di un’ottima considerazione. Ho anche partecipato alle selezioni di Masterchef USA passando i primi provini. Sono arrivato alle ultime scremature, poi a penalizzarmi è stata proprio la mia tipicità. Nel senso che l’edizione americana dello show porta avanti un’idea gastronomica più larga, multiculturale. I concorrenti che arrivano in fondo normalmente sono in grado di destreggiarsi tra le varie cucine etniche. Ma anche quella è stata comunque una bella avventura”.

Tante soddisfazioni dunque, ma anche tanti sacrifici

“Tantissimi. In 14 anni passati negli Stati Uniti ho vissuto anche tanti momenti di solitudine. Momenti brutti ma anche quelli belli, che avrei voluto condividere con i miei cari. Non è stato semplice, e non è semplice neanche oggi quando torno a Pozzuoli, rendermi conto di quanto tutti siano cambiati. Incrociare gente per strada e non ricordarne il nome. O aver paura che non si ricordino più di me”.

Negli States invece si ricordano eccome. Anche perché Alfredo non si è accontentato di cucinare per gli americani…

“So che l’opinione comune è che gli americani non sappiano mangiare. Io non sono d’accordo, e comunque ho trovato sempre persone aperte, vogliose di imparare e di assaggiare. Come fossero dei bambini. E non parlo solo di pizze, ma di frutti di mare, di spigola all’acqua pazza. Spesso dipende anche da come si propongono certe cose, l’americano medio pensa all’Italia e ci invidia le nostre location più belle, il nostro calore. Saranno anche stereotipi, ma sono positivi, e ci danno credibilità ai loro occhi. Io spesso ho interpretato una parte, mi piaceva stare in sala, parlare con i clienti. Raccontar loro dei piatti della nostra tradizione, e di come li faceva mia madre, di come mi aveva insegnato a riproporli. Quest’apertura, questi atteggiamenti, sono sempre stati premiati negli States”.

 

E non solo. Due anni fa Alfredo gli USA li ha lasciati, seppur con qualche remora, ed è volato a Singapore…

“Altra parte del mondo, un cambiamento davvero incredibile. Ho lavorato in un ristorante italiano di ispirazione toscana, il Pietrasanta, e poi a La Pizzaiola. E’ stata un’esperienza importante, ma quando ho avuto l’occasione ho deciso di tornare in Europa”.

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Dove tutto o quasi era iniziato, a Parigi…

“Sì, sono a Parigi e lavoro a Il Padrino, un ristorantino italiano in cui ho ritrovato il rapporto con i clienti. E giuro che il fatto che si chiami come uno dei film di Francis Ford Coppola è solo un caso. Nei prossimi mesi però tornerò al Ristorante Napoletano dalla famiglia Esposito. E’ lì, di fatto, che tutto iniziò”.

E dove non è detto che possa ricominciare…

“Io non mi fermo. Casa mia mi manca, ma la mia vita è questa, in giro per il Mondo. So che in tempi difficili sono in tanti a prefigurarsi una carriera lontano dall’Italia, se posso dare qualche consiglio, dico ai ragazzi di pensarci solo se c’è passione vera per la cucina, perché i sacrifici da fare sono tanti. Ma è altrettanto vero che con quella passione e tanta umiltà si possono raggiungere dei risultati e delle soddisfazioni che attualmente da noi è difficile trovare”. 

foto Chronicle / Craig Lee - www.openrice.com - www.phebekhalil.com